Nei mesi scorsi Suor Nives vedeva spesso un ragazzino alla messa nella chiesetta vicina alla Scuola Medea. Una mattina lo avvicina e gli chiede se va a scuola e perchè si trova spesso intorno alla chiesa. Alla domanda risponde che non va a scuola perchè i compagni lo prendono in giro, lo bullizzano, e che ritorna a casa solo alla sera per mangiare perchè durante il giorno a casa non c’è nessuno. Emanuel, così si chiama il ragazzino, ha una malattia della pelle che chiamano “pelle di lucertola“che gli invecchia il volto e gli sforma anche le mani e i piedi. E’ il più piccolo di 5 figli di un militare in pensione ed è senza la mamma morta di malattia alcuni anni fa. Ha due sorelle già sposate e due fratelli più grandi che vanno ancora a scuola, mentre il padre, che riceve la pensione di tanto in tanto, si arrangia con piccoli lavori in giro. Dopo aver parlato col papà, Suor Nives decide di accogliere Emanuel e di inserirlo nella 5a elementare della Scuola Medea. Non è stata una impresa facile nè per i compagni di classe, nè per il comportamento di Emanuel, nè per l’insegnante. Ma Suor Nives non ha desistito. Poco a poco i compagni hanno fatto amicizia ed accettato il nuovo arrivato e lui, anche se fatica per via del problema alle mani, ha ripreso a scrivere e a studiare. Per la malattia della pelle il papà si era dato da fare portandolo a diverse visite specialistiche che però non hanno individuato finora il tipo di malattia della quale hanno escluso comunque la contagiosità. Sulla “pelle di lucertola” circolano storie che riflettono le credenze tribali del paese. Si dice che è una punizione perchè i nonni di Emanuel non condivisero il matrimonio della sua mamma oppure perchè non fu pagata una dote adeguata. Noi facciamo fatica a capire le contraddizioni di una cultura tribale che da un lato poggia sulla “famiglia estesa” dove i figli di fratelli e sorelle si considerano tra loro tutti fratelli e sorelle e comunque i bambini vengono aiutati sempre. Dall’altro però sappiamo che ad esempio un bambino albino, considerato una maledizione, è meglio che venga accolto da qualche istituzione lontana per non fare una brutta fine, oppure come nel caso di Emanuel un problema fisico viene considerato come motivo per ostracizzare e allontanare un ragazzino dal contesto sociale. Noi che crediamo a parole come “inclusione”, “umanità”, “solidarietà” facciamo fatica a renderci conto di quanto impegno e determinazione ci voglia per attuarli in contesti come quelli dove opera la missione delle Medee.
Foto sopra; Emanuel ( infradito rosse) coi compagni di scuola.